CONSIGLIO NUMERO 62 – EMICRANIA E DIMAGRIMENTO –

 

Mal di testa e stanchezza sono componenti ben note a chi si sottopone a regimi alimentari biochimicamente errati.

Esistono sostanzialmente 2 tipi di emicranie:

– la prima è indotta da tensioni muscolari cervicali causate da traumi o atteggiamenti posturali anormali.

– la seconda da infiammazione del sistema circolatorio cerebrale e del nervo trigemino.

Chiariamo definitivamente quali sono le componenti biochimiche che inducono infiammazione del sistema circolatorio cerebrale e del nervo trigemino.

LA CONDIZIONE CHE INNESCA L’INFIAMMAZIONE CEREBRALE È SEMPRE UN’IPOGLICEMIA SEGUITA DA UNA PRODUZIONE ENDOGENA DI CORTISOLO AL FINE DI ALZARE LA GLICEMIA.

La condizione ipoglicemica con coseguente produzione di cortisolo innesca una cascata di eventi per i quali il volume dei capillari cerebrali aumenta e il nervo trigemino si infiamma: vengono bloccati alcuni neurotrasmettitori (serotonina), vengono prodotti neurotrasmettitori che interagendo col sistema immunitario (e superando la barriera ematoencefalica) alimentano ulteriormente l’infiammazione, neuropeptidi, ossido nitrico, citochine infiammatorie COX 2, ecc.

NON ESISTONO PROTOCOLLI MEDICI CHE RIESCANO ED ELIMINARE LE EMICRANEE IN QUANTO ESSI SONO INDIRIZZATI ALLA GESTIONE DEL DOLORE DAL MOMENTO CHE NESSUN MEDICO È IN GRADO DI COMPRENDERE LA CAUSA SCATENANTE.

La soluzione resta comunque banale rispetto ai fantascientifici protocolli medici: alimentarsi correttamente, evitando stati ipoglicemici indotti da iperproduzione di insulina.

Superati i 30-35 anni di età risulta comunque doverosa l’integrazione di sostanze che il corpo produce sempre meno. Queste sostanze aiutano la produzione di ATP e riducono il cortisolo.

Coenzima Q10, pepe ( la peperina contenuta nel pepe aumenta la disponibilità del coenzima Q10 ), carnitina per aumentare la funzionalità dei mitocondri e conseguente produzione del preziosissimo ATP.

Melatonina e inibitori del cortisolo come ginseng, rodiola rosea e tribulus terrestris per mantenere un assetto ormonale ottimale tra ormoni iperglicemizzanti e ipoglicemizzanti.

CONCLUSIONI:

SE SOFFRITE DI EMICRANIA LA SOLUZIONE E’ MODIFICARE IL COMPORTAMENTO ALIMENTARE.

SE L’EMICRANIA INSORGE DURANTE UN PROTOCOLLO DI DIMAGRIMENTO SI CONSIGLUA DI INTRODURRE I SUDDETTI INTEGRATORI IN MODO BIOCHIMICAMENTE CORRETTO.

UNO DEI PERCORSI METABOLICI PIÙ CORRETTI PER MANTENERE STABILE LA GLICEMIA È LA GLUCONEOGENESI DA METABOLITI MUSCOLARI (ALLENAMENTO FISICO)


P.S.:

TRIBULUS TERRESTRIS

Il tribulus terrestris è una pianta (Tribulus terrestris L.) appartenente alla famiglia delle Zygophyllaceae. E’ diffusa in Europa, Asia, Africa ed Australia, nelle zone calde tropicali.
Uso tradizionale

Da secoli il tribulus terrestris viene impiegato nella medicina tradizionale cinese ed indiana con scopi diversi. Secondo le credenze locali questa pianta ha azione regolatrice e depurativa (aiuta nelle disfunzioni di origine renale, epatica e gastrointestinale); come tale viene utilizzata per aiutare in caso di impotenza, edema, gonfiore addominale.

Proprietà fitoterapiche

Tribulus terrestris testosterone

Nome: Tribulus terrestris L.
Famiglia: Zygophyllaceae
Genere: Tribulus L.
Specie: Tribulus terrestris L.
Sinonimi: tribolo, puncture vine, Bai Ji Li

Provenienza: pianta originaria dell’India

La proprietà più importante del tribulus terrestris è tuttavia legata alla sua presunta azione stimolante sulla produzione di ormoni androgeni. Tali ormoni, tipici dell’uomo ma importantissimi anche per l’organismo femminile, regolano la libido, i caratteri sessuali e lo sviluppo muscolare. In virtù di tali caratteristiche il tribulus terrestris è impiegato da secoli in diversi Paesi come pianta afrodisiaca in grado di aumentare la fertilità maschile e femminile sopperendo ad eventuali carenze ormonali.

Intorno alla metà degli anni ’90 tali proprietà furono sostenute e valorizzate da un gruppo di atleti olimpici dell’est europeo (soprattutto di origine bulgara e russa). Proprio da questi Paesi provengono i più importanti studi che mettono in risalto le proprietà ormonostimolanti di questa pianta. Tali effetti vanno attribuiti ad un gruppo di sostanze organiche con attività ormonosimile chiamate saponine.
I semi del tribulus terrestris sono infatti ricchi di protodioscina, una saponina steroidea che agirebbe aumentando la produzione endogena di testosterone, diidrotestosterone, ormone luteinizzante (LH), deidroepiandrosterone (DHEA), deidroepiandrosterone solfato (DHEA-S), con conseguente aumento della spermatogenesi e della libido nell’animale da esperimento e nell’uomo (Gauthaman K. et al. 2002, 2003).

Numerosi altri studi indipendenti, spesso finanziati dalle stesse aziende produttrici di supplementi a base di tribulus terrestris, ribadiscono e sottolineano tali proprietà.

La conferma dell’ipotesi secondo cui gli estratti di questa pianta sarebbero utili nel trattamento delle disfunzioni erettili arriverebbe invece da un altro studio. Durante questa ricerca un gruppo di topi a cui fu somministrato tribulus terrestris si dimostrò più attivo sessualmente e presentò una pressione intracavernosa più alta rispetto ai topi non trattati (la pressione intracavernosa viene registrata all’interno dei corpi cavernosi del pene, strutture paragonabili a spugne che, riempiendosi di sangue, permettono l’erezione).

Inizialmente i prodotti a base di tribulus terrestris furono ampiamente pubblicizzati in migliaia di siti internet e in riviste, soprattutto indirizzate ai praticanti di bodybuilding. Oggi gli estratti di questa pianta vengono impiegati nella preparazione di pillole che promettono di risvegliare il desiderio e le energie sessuali.

GINSENG
Il ginseng, (Panax Ginseng), altrimenti noto come ginseng asiatico (per distinguerlo dall’Eleuterococco, ginseng siberiano), è una pianta erbacea appartenente alla famiglia delle Araliaceae.
La parola Panax può avere sia origine greca (Panakèia) che latina (panaceae), ma il significato non cambia. Con il termine Panacea si indica qualsiasi rimedio utile per la cura di tutti i mali.
Il ginseng è originario dell’Asia orientale e cresce principalmente in Cina, Corea e Siberia del Nord.
Il ginseng viene usato in fitoterapia ed in medicina popolare ad uso interno per le sue proprietà: toniche, adattogene, ipocolesterolemizzanti, ipolipidemizzanti, antiaggreganti, fibrinolitiche, ed immunostimolanti.
Il ginseng trova quindi impiego per uso interno nel trattamento dello stress, dell’affaticamento, dell’astenia, della depressione e della convalescenza.
Le parti della pianta utilizzate in fitoterapia sono: le radici. La parte ipogea può essere divisa in tre parti: una testa o corona del rizoma, il collo o corto rizoma ed il corpo della radice. La forma della radice può ricordare vagamente le sembianze di un uomo, infatti la parola ginseng in cinese significa piccolo uomo. I principi attivi caratterizzanti sono: saponine triterpeniche (ginsenosidi Rg1, Rc, Rd, Rb1, Rb0), panaxosidi A e F, olio essenziale (limonene, terpinolo, citrale, poliacetileni), aminoacidi e peptidi (prolina, glicina, alanina, cisteina, tirosina, arginina, lisina, acido aspartico, treonina, serina, acido glutammico, leucina, valina, istidina), vitamine (B1, B2, B12, C, acido folico, acido nicotinico, biotina, acido pantotenico), steroli ed acidi grassi (beta-sitosterolo, daucosterolo, acido oleico, acido palmitico, acido stearico), sostanze minerali ed oligoelementi (magnesio, alluminio, fosforo, calcio, vanadio, manganese, ferro, cobalto, rame, germanio ed arsenico), enzimi e fosfatidi (amilasi, fenolasi e colina) e composti estrogenici (solo nelle varietà selvatiche).
Il ginseng si caratterizza per la ricca presenza di saponine, in particolare di saponine steroidiche e triterpeniche, che gli conferiscono la nota proprietà adattogeno – tonica. Tra tutte, il ginseng è infatti quella droga che veste in modo adeguato la definizione di “adattogena”, ovvero che agisce in modo aspecifico.
Il ginseng migliora la vigilanza e lo stato di benessere psicofisico; in uno studio a doppio cieco contro placebo è stato dimostrato un miglioramento della capacità di calcolo aritmetico, della deduzione logica, dell’attenzione, del tempo di reazione e della sensazione di benessere, alleviando la stanchezza.
Il ginseng trova indicazione nella sindrome da stanchezza cronica (astenia).
L’associazione di estratti di ginseng e ginkgo biloba determina un aumento del livello di serotonina nelle strutture cerebrali ed un aumento dei livelli di ACTH, rendendo questa associazione indicata per controllare le turbe delle funzioni cognitive correlate all’età.
Il ginseng espleta la propria azione a livello cerebrale, migliorando la concentrazione e la veglia; è infatti uno stimolante; a livello cardiaco aumenta la frequenza e la forza contrattile del miocardio; a livello muscolo-scheletrico migliora la reattività dello stimolo nervoso rivolto ai muscoli; agisce poi anche a livello immunologico stimolando la funzionalità del sistema immunitario.
Il ginseng è una droga tipica della medicina cinese, ma particolarmente conosciuta anche nel mercato erboristico occidentale; è molto utilizzato come ricostituente, consigliato anche in periodi di calo energetico.
Il ginseng deriva da una pianta erbacea perenne, denominata Panax ginseng, appartenente alla famiglia delle Araliacee. Il ginseng è coltivato in altura; le piante che danno droga di migliore qualità crescono tra i 700 e i 1500 metri. La droga è caratterizzata dalla radice e da un corto rizoma di forma antropomorfa; ginseng, infatti, significa “piccolo uomo”. Il ginseng viene raccolto in piante che hanno almeno quattro anni, coltivate prevalentemente in Cina, Giappone e Corea; il ginseng coreano è quello più pregiato.
Il ginseng viene lavorato in modo tale da dare due tipologie principali di droga: ginseng bianco e ginseng rosso. Ilginseng bianco è ottenuto raccogliendo la droga e, dopo averla mondata, trattandola con anidride solforosa per eliminare e schiarire le parti più esterne dell’esoderma della radice. Il ginseng rosso, invece, considerato più pregiato, presenta una superficie rossastra; una volta raccolto, viene trattato con vapor d’acqua a 120-130°C e poi posto in stufa; la superficie della droga assume quindi un aspetto lucido e rossastro (l’essicazione avviene appunto in stufa).
I princìpi attivi del ginseng sono i ginsenosidi (saponine), con caratterizzazione chimica sensibilmente diversa; sono tutte saponine, ma hanno funzioni tali da poter essere suddivise in diverse categorie, simili comunque – seppur con diversa intensità d’azione – per le proprietà toniche generalmente ascritte al ginseng. Questa variazione in intensità determina anche la differente qualità della droga: il ginseng bianco presenta determinate categorie di saponine, mentre il ginseng rosso ne presenta altre; soprattutto, il ginseng coltivato in zone diverse presenta proprietà differenti, in funzione al differente pattern fitochimico di queste saponine.
Il ginseng è una droga estremamente impiegata assieme all’Eleuterococco.
Il termine ginseng designa numerose specie appartenenti alla famiglia delle Araliaceae. Nella medicina cinese la droga ricavata da queste piante, costituita dalle radici, ha alle spalle una tradizione millenaria, fatta dei più svariati impieghi. Il nome ginseng deriva dalla parola cinese “rensheng” che significa uomo, scelta con tutta probabilità per sottolineare la struttura antropomorfa della radice.
Considerato un rimedio quasi universale, il ginseng veniva usato soprattutto contro l’invecchiamento, i disturbi gastrointestinali e come preparato afrodisiaco e rivitalizzante.
La straordinaria fama di droga-panacea ed il fascino misterioso della sua origine orientale hanno contribuito a decretarne il successo nei nostri mercati. Inizialmente spinti dalla loro presunta abilità nel risvegliare desideri assopiti, gli estratti di ginseng sono ormai presenti in numerosi complementi alimentari, in gran parte destinati a persone convalescenti, sportivi ed anziani. Non è quindi un caso che il ginseng sia considerato il prodotto erboristico più utilizzato al mondo.
Le specie più conosciute sono quelle di origine asiatica (Panax ginseng coltivato in Cina, P. schinseng o ginsengcinese, P. pseudo-ginseng che cresce in Nepal e nell’Imalaia orientale, P. notoginseng coltivato in Cina, P. japonicus, P.vietnamensis), americana (Panax quinquefolius equivalente al ginseng asiatico per impieghi, aspetto e composizione) e siberiana (Eleutherococcus senticosus differente per costituzione chimica ma simile per proprietà terapeutiche). Tra tutte, la specie più utilizzata e studiata è il Panax ginseng.
Le virtù del ginseng sono attribuibili a diversi componenti presenti nelle sue radici. Oltre ad un buon contenuto in vitamine, olio essenziale e polisaccaridi (panaxani), va segnalata la presenza di saponine triterpeniche, chiamate ginsenosidi e considerate i princìpi attivi della droga.
Superato l’iniziale entusiasmo per le sue conclamate virtù afrodisiache, peraltro ancora in attesa di conferme scientifiche, si sono susseguiti numerosi studi per indagarne le reali proprietà curative. Da queste ricerche sono emersi elementi che hanno proposto l’utilizzo di ginseng nel trattamento di diverse condizioni, come diabete di tipo II, insonnia, gastrite, ipotensione, stati di stress ed affaticamento.
Agli estratti di ginseng sono stati attribuiti anche effetti antiossidanti, antipiretici, ipocolesterolemizzanti, probiotici, radioprotettivi, anticancerogeni ed antinfiammatori. Molti di questi effetti, dimostrati solamente sugli animali, sono ancora in attesa di conferme scientifiche; inoltre, la qualità e la neutralità degli studi condotti nei Paesi dell’est asiatico è stata messa in discussione. Un altro problema deriva dagli enormi interessi economici che ruotano intorno a questa pianta e che spingono per il riconoscimento delle sue presunte proprietà terapeutiche. Tutto ciò spiega come mai in proposito esistano opinioni differenti, che vanno dall’eccesso di entusiasmo all’esagerato scetticismo.
Il ginseng è tradizionalmente considerato una droga tonica o adattogena (sinonimo tecnico), in quanto utile per potenziare le difese immunitarie e migliorare le capacità fisiche e mentali.
Diversi studi condotti su animali hanno dimostrato che il ginseng influenza l’asse ipotalamo-ipofisi aumentando il rilascio di ACTH, un ormone che induce la liberazione surrenale di cortisolo o “ormone dello stress”. Il cortisolo migliora la risposta agli stress psicofisici, promuovendo la degradazione del glicogeno, delle proteine muscolari e stimolando la funzionalità del sistema nervoso centrale.
Il presunto effetto afrodisiaco del ginseng sembra legato alla sua capacità di aumentare il rilascio di ossido nitrico dalle cellule endoteliali dei corpi cavernosi del pene; la conseguente vasodilatazione permetterebbe di ottenere un’erezione più vigorosa. Tra le varie specie, la medicina Cinese associa le maggiori proprietà afrodisiache alginseng rosso, la cui colorazione è dovuta, semplicemente, al trattamento della radice con vapore (120-130°C per circa 2-3 ore) e alla successiva essicazione.
Numerosi studi evidenziano i benefici del ginseng in topolini diabetici, ma non esiste un numero altrettanto esteso di ricerche sugli uomini che confermi le sue proprietà ipoglicemizzanti (i ginsenosidi sembrano favorire la sintesi pancreatica di insulina ed aumentare la produzione di trasportatori del glucosio nel fegato; i panaxani (polisaccaridi) sembrano invece diminuire la sintesi di glucosio a livello epatico ed aumentare il suo utilizzo nei vari tessuti corporei).
Riportiamo, per concludere, una tabella tratta da una rewiev di David Kiefer e al. (Am Fam Physician. 2003 Oct 15;68(8):1539-42), scelta per la semplicità e la cautela con cui riassume le principali proprietà del ginseng.
Efficacia
Miglioramento della funzionalità psicologica: efficace, sebbene ci siano alcune ricerche di segno opposto
Potenziamento delle difese immunitarie: efficace
Ipoglicemizzante: azione modesta, numerose evidenze scientifiche su animali da laboratorio, limitate negli umani
Effetti collaterali per l’ingestione di dosaggi particolarmente elevati (15 g, cioè 30-75 volte superiori alle dosi consigliate)
Sintomi come nausea, diarrea, euforia, insonnia, mal di testa, ipertensione, ipotensione, dolore mammario, sanguinamenti vaginali e sbalzi pressori.
Interazioni
Cautela nell’utilizzo simultaneo di ginseng e fenelzina [Nardil (un psicofarmaco)], Warfarin [Coumadin (un anticoagulante)], ipoglicemizzanti orali, insulina, digossina, ormoni e caffeina. E’ controindicato a chi soffre di ipertensione o emorragie.
Dosaggi
Radice secca di ginseng (per infusi o masticabile): da 0,5 a 2 g al giorno
Le dosi di assunzione normalmente consigliate sono pari a: 1-2 grammi di ginseng a piacere: da sola, oppure unita ad altri alimenti o bevande, in una tazza d’acqua bollente (infuso); 30 gocce di ginseng tintura madre per 1-3 volte al giorno. La tintura madre viene preparata con la radice di ginseng essiccata (titolo 55°).
Decotto
Far bollire in un litro d’acqua 40 grammi di miscela erboristica (15g ginseng , 15g eleuterococco, 8g liquerzia, 2g menta piperita) per circa quindici minuti. Filtrare e consumare una tazza di decotto dalle tre alle quattro volte al giorno.

RODIOLA ROSEA
Una lunga serie di studi hanno individuato ed evidenziato nella Rhodiola rosea la capacità di influenzare positivamenteil nostro organismo grazie alle sue caratteristiche nutrizionali.
La rhodiola fenilpropanolderivati e di rosavina, principio vegetale che caratterizza in modo unico l’estratto.
Gli studi hanno dimostrato come la Rhodiola rosea sia in grado di determinare un incremento della concentrazione di serotonina a livello cerebrale, aumentare la disponibilità di dopamina, adrenalina, noradrenalina.
La Rhodiola rosea è normalmente utilizzata in Asia e nell’Europa dell’Est.
La Rodiola favorisce una naturale ed equilibrata azione tonico-adattogena.
Pianta spontanea delle regioni montuose (dai 3000 ai 5000 m) di Europa ed Asia settentrionali.
In Siberia, dove è detta Radice d’oro, è usata nella medicina popolare contro la stanchezza e il suo uso pare connesso alla sorprendente longevità delle popolazioni locali.
Ne esistono circa 200 varietà, ma la Rosea è la più apprezzata per ricchezza di principi attivi, in particolare salidroside e rosavina. Fin dall’antichità si usavano rimedi erboristici derivati da piante dette adattogeni per combattere stress fisici che intellettuali.
La R., poco conosciuta in occidente fino a pochi anni fa, è considerata oggi l’adattogeno più completo. Per essere Adaptogeno, una pianta non deve essere tossica, deve permettere tutte le normali funzioni fisiologiche dell’organismo; l’azione esercitata dai principi attivi contenuti deve essere di tipo aspecifico e mantenere le corrette funzionalità dell’organismo anche in presenza di situazioni di affaticamento (es. stress fisico o mentale, etc); deve esercitare un’azione rivolta alla normalizzazione delle funzioni dell’organismo.
La Rodiola (Rhodiola rosea) ha il suo habitat originario nelle montagne siberiane, dove era conosciuta col nome di “Zoloty Koren” che significa “Radice d’oro”, nome che già lascia intendere quanto fosse apprezzata per le sue numerose ed importanti proprietà salutari. L’uso popolare della Rhodiola rosea risale a molte migliaia di anni fa, ed è stato tramandato di generazione in generazione con la cultura orale nella tradizione etnobotanica della Siberia, che attribuiva a questa pianta una grande importanza nel mantenere la salute, la vitalità, la longevità e il vigore dell’organismo umano. La prima classificazione come pianta medicinale (77 d.C.) è attribuita a Dioscoride, famoso medico greco che la cita col nome di “Rodia Riza” nel suo illustre testo “De Materia Medica”, che è ritenuto il più importante trattato di botanica farmaceutica dell’antichità. Ma fu Linneo, il grande naturalista svedese (Carl von Linné) padre della nomenclatura botanica binomia (classificazione delle piante che utilizza due termini: un nome per indicare il genere, un aggettivo per indicare la specie), che le attribuì il nome scientifico, tuttora in uso, nell’opera “La flora svedese”, verso la metà del 1700. Nella farmacopea svedese la Rhodiola è presente fin dal 1754, e nel 1985 è stata riconosciuta come pianta medicinale ad azione anti-fatica. Anche i manuali medici tedeschi hanno preso in considerazione le virtù medicinali della Rhodiola rosea, che è inclusa anche nella Farmacopea Francese, ed anche in Inghilterra è utilizzata come rimedio tradizionale col nome di “lignum rodium”.
La Rhodiola rosea appartiene alla famiglia delle Crassulaceae, è una pianta perenne dalla radice rizomatosa molto voluminosa, che al taglio emana un leggero odore di rose, da cui il suo nome; anche i piccoli fiori, solitamente gialli, hanno questo profumo. Questa pianta ha una grande resistenza, infatti vegeta nelle zone montane della Siberia, dove è in grado di sopravvivere ai lunghi e rigidi inverni, ma anche alle grandi altitudini e alle condizioni estreme delle regioni polari. Le popolazioni locali hanno usato a scopo medicinale ogni parte della pianta; ma è soprattutto la radice che nell’uso popolare è stata ritenuta una specie di panacea e fra le numerose proprietà che le vengono attribuite.
Queste proprietà sono state confermate da studi effettuati in Svezia e soprattutto nell’ex Unione Sovietica, dove nei primi anni sessanta venne condotta una rigorosa ricerca scientifica e un ampio studio su questa pianta e sui suoi utilizzi in campo clinico, corredato da test sull’uomo condotti su ampia scala. Anche la ricerca mondiale su questa pianta sta finalmente progredendo, ed è bene che queste ricerche continuino per aumentare la conoscenza e definirne le possibili applicazioni.
E’ molto importante la classificazione sicura della Rhodiola rosea, poiché al genere Rhodiola appartengono numerose altre piante, il cui valore salutistico è di gran lunga inferiore o del tutto assente, e inoltre le specie diverse dalla “rosea” non sono state ben studiate e difettano di studi tossicologici che ne garantiscano l’assenza di tossicità, per cui, se si vuol far uso di questa pianta, è bene rivolgersi a produttori seri, che garantiscano la qualità del prodotto.
I principi attivi caratterizzanti della Rhodiola rosea sono senz’altro quelli denominati complessivamente rosavine, e cioè la rosina, la rosavina e la rosarina; saranno quindi questi i composti che andranno ricercati nelle analisi, per certificare che si tratti proprio di Rhodiola rosea, e non di un’altra specie di minor valore appartenente al genere Rhodiola.
Sono molte le azioni benefiche della Rhodiola rosea, e ci auguriamo che lo studio di questa pianta prosegua ulteriormente, così da evidenziare eventuali altre sue proprietà, e di avere nuove conferme sui suoi effetti benefici già individuati.
Nel rizoma della rodiola ci sono i seguenti componenti
Composti glicosidici: salidroside (p-tirosolglucoside), rosavin, rosarin, rosin, rosiridin, rodiosin, rhodalin, astragalin, campferolo-7-ramnoside, rhodionin, tricin.
Flavonoidi derivati della tricina, campferolo, erbacetina e della gossipetina.
Olio essenziale 0,05% (alcoli monoterpeni, idrocarboni monoterpeni, alcoli alifatici).
Acidi organici; sostanze tanniche.
Recentemente, nella pianta sono stati isolati il benzil-O-beta-glucopiranoside.
La Rodiola è paragonato al Ginseng ed all’Eleuterococco.
Come usare l’alimento:
La dose consigliata va da 1 a 5 g al dì, aggiunta a piacere all’alimentazione quotidiana. Preferibilmente al mattino.

Pubblicato da RAFFANIMAL

Strength coach personal trainer master sport specialist, istruttore powerlifting, docente scienze motorie presso istituto aeronautico Mario Calderara, città Verona, cell.:3402490405

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